
La Segreteria organizzativa delle “Quarte Giornate dei Diritti Linguistici”
Foto di Giovanni Agresti
di Giovanni Agresti
Come l’aria che respiriamo, la lingua ci avvolge. È dentro e fuori di noi, nasce e cresce con noi, assecondando e condizionando la nostra visione, i nostri giudizi sul mondo.
Come il cibo che mangiamo, la lingua ci nutre: non solo il latte materno, ma anche la lingua madre costruisce la persona rispondendo alla sua necessità vitale di entrare in relazione con gli altri.
La lingua è quindi parte del nostro organismo, ma proprio per questo non è semplice prenderne coscienza.
In effetti, anche se siamo tutti addetti ai lavori in quanto tutti parliamo almeno una lingua sin dai primi mesi di vita, non è affatto facile conoscerne la natura. Quante volte pronunciamo parole, frasi, modi di dire di cui non conosciamo il senso, o di cui addirittura rovesciamo il senso? Ci rendiamo conto che il nostro modo di rappresentare il mondo non è il solo al mondo? In alcune lingue africane il passato è rappresentato come “davanti” a noi, perché lo possiamo leggere come un libro, e il futuro è “alle spalle”, perché ignoto… Insomma: il linguaggio è legato alla nostra cultura e al nostro corpo e come tale, se da un canto ci consente di organizzare e, in un certo senso, di trasformare la realtà, è dall’altro continuamente percorso da riflessi involontari.
Per questa ragione non è mai banale parlare della lingua, anche se spesso può risultare frustrante: per parlare di lingua si può solo…utilizzare la lingua! È il gatto che si morde la coda…
Al punto che Roland Barthes sosteneva che “la lingua è fascista”: una volta stabilito il soggetto (o tema), il predicato (o rema), deve andare di conseguenza, accordato, declinato… insomma è totalmente “assoggettato”. Per Roman Jakobson le lingue differiscono non tanto per quello che consentono di dire, ma per quello che obbligano a dire. Umberto Eco, riprendendo il ragionamento di Barthes, sosteneva che l’unico modo per uscire dalla circolarità della lingua è giocare, imbrogliare: attraverso la creazione, la letteratura. Scrivendo “Je est un autre” (“io è un altro”), Rimbaud spezzava la sintassi e il determinismo della lingua per uscire da essa e suggerire nuove visioni.
Ma c’è un’altra via attraverso cui sperimentare e affinare la coscienza linguistica e la libertà che deriva dalla consapevolezza dei condizionamenti che questa per sua natura impone: scoprire la lingua degli altri!
La lingua degli altri, che si tratti di una lingua straniera, di una lingua minoritaria, di un linguaggio “inedito” o semplicemente del parere altrui, è la fonte dell’arricchimento del soggetto in quanto aggiunge nuovi elementi, punti di vista a quelli che conosciamo già. Andare verso la lingua degli altri significa forzare le frontiere del nostro spazio di sicurezza e sperimentare la difficoltà di allargare i propri limiti di comprensione del mondo.
Ecco perché ci interessano tanto alcune tematiche, come quella dei diritti linguistici o, più in generale, quella della protezione e promozione della diversità linguistica. La lingua degli altri non riguarda solo “gli altri”!
In questa rubrica cercheremo con il vostro contributo di sviluppare questa riflessione, avvicinandoci settimana dopo settimana al convegno internazionale “Quarte Giornate dei Diritti Linguistici” e al Festival delle letterature minoritarie d’Europa e del Mediterraneo (“Arte del Viaggio, Arte dell’Incontro”) che si svolgeranno quest’anno tra l’Università degli Studi di Teramo e l’isola linguistica arberesh di Villa Badessa (Pescara) dal 20 al 23 maggio. Sarebbe bello ritrovarsi in quell’occasione…
Vi aspettiamo!
Contatto: Giovanni Agresti giovanni.agresti@portal-lem.com
http://portal-lem.com/fr/evenements/journees_droits_linguistiques.html